Fino ad ora l’argomento è stato largamente dibattuto, senza che si sia giunti a una risposta chiara e univoca. Partiamo da un presupposto: la percezione della realtà è sempre mediata dalla lettura che ci restituisce la nostra mente. Questo, già di per sé, significa che ognuno di noi vive l’esperienza e la interpreta attraverso la sua coerenza interna, utilizzando credenze e autoinganni. Detto questo, anche se ciascuno sembra leggere il mondo esterno attraverso la propria lente, o in base a personalissimi schemi auto-appresi, la lettura di ciò che ci circonda, possiede, fondamentalmente, una base di senso comune, quel senso comune che ci porta, per esempio, a dire che l’erba è verde o il cielo blu.
Ma possiamo sostenere che si verifichi lo stesso fenomeno anche quando si tratta di osservare la nostra immagine nello specchio?
Sappiamo, per esempio, che in presenza di patologie di tipo somatoformi, come la dismorfofobia ed i disturbi del comportamento alimentare, succede che una lente deformante sovverte la sua percezione e impedisce all’individuo di vedere la verità dei fatti.
Tutti noi sappiamo che un’anoressica di 38 chili si vede grassa guardandosi allo specchio, ma pensiamo anche alla restante parte della popolazione.
Pensiamo per esempio agli atteggiamenti che ognuno di noi spesso assume quando si pone di fronte a uno specchio.
In genere ci mettiamo come in posa. Cerchiamo insomma, non sempre consapevolmente, di aggiustarci nella posizione che ci rende più belli ai nostri stessi occhi.
Così accade anche nelle occasioni in cui qualcuno ci sta per scattare una foto. Vogliamo mostrare il nostro lato migliore.
A dispetto delle strategie messe in atto, sono tantissime le persone che sostengono di non piacersi mentre si guardano allo specchio o si rivedono in foto.
La conferma è che tutto ciò accada quando nel soggetto si manifesta una discrepanza tra la realtà dei fatti e l’immagine interna che ha di sé stesso.
Ci sono anche circostanze in cui davanti allo specchio abbiamo sensazioni del tutto opposte a quelle fin qui descritte, ossia ci sentiamo bellissimi. Ebbene, tutto ciò accade quando le tre dimensioni corporee – corpo percepito, corpo sociale e corpo ideale – si sovrappongono.
Abbiamo visto però che, nella maggior parte dei casi, quando siamo davanti a uno specchio vediamo perlopiù quello che non ci piace.
Osserviamo le nostre imperfezioni, il naso pronunciato, la pancia gonfia, fino a rimuginare sul corpo che si trasforma, perché ne abbiamo paura e non lo accettiamo, rimaniamo insomma legati a un’immagine ideale che non ci corrisponde davvero. E forse non lo farà mai. Sarebbe importante prendere consapevolezza e accettare che il nostro corpo va per forza di cose incontro a dei cambiamenti, e che la nostra pancia e le nostre cosce non hanno nulla che non va, e che è tutto normale. Le emozioni, anche quelle cosiddette scomode e poco tollerabili, sono in realtà le spie di un atteggiamento complessivo che abbiamo nei confronti della nostra immagine interna, e come tali sono hanno una loro funzione e importanza. Dopotutto, ci informano su come stiamo con noi stessi e su come ci sentiamo insieme agli altri. Una cosa è pressoché certa: dietro il tanto amato specchio sembra che si nasconda quasi sempre il demone della nostra imperfezione. Alcuni studi condotti negli Stati uniti negli ultimi anni hanno dimostrato che più dell’80% degli uomini e più del 90% delle donne, pur cercando di migliorare costantemente il proprio aspetto fisico, continuano a mantenere qualche motivo di insoddisfazione.
Sappiamo, peraltro, quanto il desiderio di risultare più attraenti sia condizionato e rinforzato dalle convenzioni sociali. L’importanza ormai quasi ossessiva attribuita all’immagine nella civiltà contemporanea contribuisce a giustificare e amplificare queste preoccupazioni. Non è un caso, dunque, se una delle più temibili malattie sociali dei nostri tempi sia diventata la già citata dismorfofobia (solo in Italia si calcola ne soffrano 500.000 persone) , senza contare tutte le altre patologie come anoressia, ortoressia ecc., legate ai disturbi dell’alimentazione.
La fobia della propria immagine allo specchio non può essere, in ultima analisi, una forma di amore patologico e distorto del riflesso di sé?
Narciso è così innamorato di sé stesso che rifiuta qualsiasi rapporto con gli altri, si dimostra incapace di condurre una vita propria, di agire autonomamente, se non attraverso la mediazione di un riflesso.
Come non rintracciare, in questa descrizione, gli aspetti più distintivi della fobia?